L’alluvione del 1966 – il racconto di una nonna al nipote

Quando anche qualche cartoncino bagnato riemerso dal fango poteva rappresentare un tesoro

Lavis. Molte sono le cronache che raccontano l’alluvione del 1966: ci sono le pagine dei quotidiani dell’epoca, le telecronache e i diari delle persone che hanno vissuto quei drammatici giorni. Oggi vogliamo tornare a quell’autunno raccontandolo in maniera diversa, con gli occhi di una bambina che dopo quasi sessant’anni ha voluto prendere carta e penna per lasciare una testimonianza a suo nipote.

Caro Thomas…


Ora che hai compiuto 11 anni, voglio raccontarti qualcosa che è successo a me (qui a Lavis) proprio quando avevo la tua età. Era l’autunno del 1966, un autunno piovoso oltre ogni modo in tutto il Trentino. Forti piogge preoccupavano molte valli ed il capoluogo.

Con la mia famiglia risiedevo, provvisoriamente, nel Comune di Lavis, in località Stazione, presso la segheria Stilla. Ogni mattina, preoccupati, guardavamo la Paganella e vedevamo che aveva sempre più rivoli e cascatelle. Il nostro amico di famiglia, Arturo Sevignani, che abitava e lavorava alla stazione a valle della funivia Direttissima, ci raccontava preoccupato che l’Adige e le fosse intorno erano in pericolo. I treni, di cui la mamma conosceva orari e velocità, subivano dei rallentamenti o non passavano proprio.

Io frequentavo la prima media a Trento e ci andavo in treno, perché arrivare a piedi alla scuola di Lavis era molto lontano e pericoloso. Un venerdì mattina, il 5 novembre, mamma, come al solito, mi svegliò ma notai in lei una certa preoccupazione. Subito mi informò che durante la notte non era passato nemmeno un treno e che aveva sentito il rumore di grossi massi che rotolavano nell’Avisio e nell’Adige. Nonostante questo, mi disse comunque di andare in stazione per controllare che non vi fossero pullman sostitutivi per la scuola.  Il capostazione mi riferì che Trento era allagata compresa la stazione dei treni. La frase esatta, ad essere precisi, fu:

Valà popa, torna a casa che Trent l’ei soto l’acqua

Il papà era preoccupato e temeva che l’allagamento potesse arrivare fino a Lavis, così portò me e i miei fratelli dai nonni a Pressano. Anche Lavis ebbe i suoi danni ma fortunatamente questi furono limitati. Tornati a casa, domenica 6 novembre, papà ci portò a vedere quel che era rimasto della casa caduta vicino al ponte di ferro.

Il 7 la vita ed il lavoro, con difficoltà, ricominciano. Quel pomeriggio arrivarono in segheria i signori De Anesi, padroni della stessa. Papà ci disse che sarebbe andato ad aiutare una ditta amica dei De Anesi “giù al Galtarossa”. Noi non avevamo idea di cosa fosse ma sapevamo che di sicuro c’entrasse con il suo lavoro. Quando venne sera, senza che papà fosse ancora tornato, nessuno di noi riuscì ad addormentarsi.

Era ormai tardi quando sentimmo una macchina fermarsi sotto casa e papà che saliva pesantemente le scale. Ci alziamo tutti per cercare di capire che cosa era successo. Quando papà entrò in casa quasi ci spaventò. Indossava solo pantaloni e camicia e la giacca dal lavoro che teneva in mano sembrava un fantoccio senza gambe. Nell’altra mano invece teneva due sacchi di plastica ricolmi che attirarono subito la nostra attenzione di ragazzi.

Le sorprese emerse dal fango


Pur essendo notte papà iniziò a raccontare.
Al Galtarossa c’era un magazzino di un negozio di Trento che vendeva di tutto. Sugli scaffali del magazzino non c’era quasi più niente, qualcosa era stato messo in salvo ma la merce più in basso era stata coperta dall’acqua. Per terra c’era una poltiglia molto scivolosa formata dai sacchi di detersivo in polvere che con l’acqua si erano aperti. Il compito di papà e dei suoi compagni era quello di far uscire questa poltiglia dal magazzino. Papà recuperò i sacchi che galleggiavano sopra la poltiglia dei detersivi e, col permesso del titolare, li riempì (così come la giacca da lavoro) e li portò a casa.

Sentito il racconto mamma salì in soffitta a prendere una rete da letto, l’appoggiò a terra, ci mise sopra un lenzuolo vecchio per allargare la poltiglia (dei detersivi) e farla asciugare.

Ma le sorprese non erano finite! Dalla poltiglia cominciarono a emergere molti piccoli cartoncini. Noi bambini curiosi ci chiedevamo di cosa si trattasse. Ci avviciniamo e scopriamo subito che su un cartoncino era ritratto Calimero. La mamma non credeva ai suoi occhi. Quei cartoncini erano dei punti della raccolta premi Mira Lanza! Da sotto il tavolo prese l’asse che serviva per impastare gli gnocchi, la ricoprì con un lenzuolo e ci appoggiò sopra questi cartoncini per farli asciugare.

Erano davvero tanti! Mamma, quindi, era felicissima di poter ottenere un premio per la casa che normalmente non avremmo mai potuto raggiungere. Finora con le raccolte precedenti aveva ricevuto solo un compasso ed un mappamondo. Ora invece avrebbe potuto ricevere ben due servizi di piatti. Già sognava il giorno della Prima Comunione di mia sorella Adriana con un servizio di tutto rispetto.

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