Un’altra figura molto diffusa nella tradizione popolare, anche trentina, è quella dell’orco: un essere dalla forza e dalle dimensioni notevoli e in alcuni casi dall’animo malvagio. Però non è il caso degli orchi di Roncegno che hanno visto la loro fiducia tradita dagli uomini

Roncegno. Un tempo si sapeva che sopra al paese di Roncegno, fra i massi e le rocce, abitavano gli orchi. Esseri giganteschi con una forza sovrumana. La gente aveva paura di questi esseri. Si narravano storie con particolari atroci perché ghiotti di carne umana. Si divertivano a fare scherzi paurosi ai contadini e ai pastori. Rubavano il bestiame e, in alcuni casi, anche le belle fanciulle dei villaggi.

Ma gli orchi che abitavano nelle foreste di Roncegno erano solo forti e grandi. Non amavano spaventare le persone. Anzi il loro più grande desiderio era quello di fare amicizia con gli umani. Ma gli umani avevano paura e quando percepivano la presenza di un orco scappavano a gambe levate avvisando tutto il villaggio. Gli orchi, per questo motivo, erano tristi e si sentivano soli ed umiliati.

Per molto tempo rimasero ai margini del bosco, fra le loro rocce e a vivere nell’oscurità delle caverne. Avevano un animo buono questi orchi di Roncegno. Un giorno, per esempio, aiutarono un contadino al quale si era ribaltato il carro. Ma uno degli orchi, non dosando bene la propria forza, nel sollevare il carro stritolò i buoi. Per la gente, insomma, erano solo portatori di sventure.

Il sospetto


Una sera di primo autunno, però, gli orchi decisero di fare una passeggiata nel bosco e ridendo e scherzando arrivarono nei pressi di Maso Vestri. Si fermarono e videro che le finestre erano illuminate e da dentro la casa uscivano canti e risate. Gli orchi si fermarono per qualche minuto rimanendo in ascolto. Erano tentati di bussare alla porta per poter essere partecipi di tanta felicità e spensieratezza. Ma niente. Decisero di rimanere a distanza per poi sparire nel bosco.

La sera seguente il più piccolo di loro prese coraggio e si recò nel prato antistante maso Vestri. Con voce poco roca chiamò il padrone di casa. Gli abitanti del maso uscirono subito sulla soglia della porta di casa: erano spaventati e molto preoccupati. «Ecco un orco -pensò uno dei ragazzo. Cosa vorrà? Ci distruggerà la casa? Lancerà un incantesimo?».

«Buonasera -disse il piccolo Orco. Sono qui perché vorrei solamente passare una bella serata in vostra compagnia». Il padrone di casa, a quel punto, invità l’orco ad entrare e, in quel preciso istante, altri cinque orchi uscirono allo scoperto. «E ora come facciamo? -pensò l’uomo. Non posso più tirarmi indietro. Gli orchi potrebbero infuriarsi e distruggere la casa o maledire me e tutta la mia famiglia». Per non rischiare l’uomo invitò tutti in casa.

Gli Orchi usarono un timbro della voce adatto all’udito umano e i più grandi stavano attenti a non muoversi in modo brusco: l’obiettivo era di fare una bella impressione. E ci riuscirono. Fu una bella serata all’insegna delle risate, di storie buffe e di canti. Tutto accompagnato da abbondanti calici di vino. E fu il vino a colpire in modo particolare la curiosità degli orchi.

Il tradimento


La serata era andata bene. E dopo di quella ce ne furono altre. Un giorno l’orco più anziano, quello che era entrato in confidenza con la famiglia, chiese al padrone di casa “la ricetta per fare il vino”. L’uomo rimase in silenzio. «Ecco -pensò subito- ora gli orchi vogliono portami via il mio segreto. Anzi… voglio maledire i miei vigneti. Si sono comportati bene per conquistare la mia fiducia solo per mettere in atto il loro piano».

Questi timori indussero l’uomo a raccontare una bugia. «Questo vino lo si ricava dai rovi -disse l’uomo». E gli Orchi, una volta tornati alle loro caverne, iniziarono a piantare rovi. Quasi ogni giorno si recavano dai loro nuovi amici per avere nuove istruzioni e gli abitanti di maso Vestri, ormai schiavi del loro inganno, si inventavano tecniche per coltivare i rovi.

Ma gli Orchi non sono stupidi e notarono, dopo qualche tempo, una notevole differenza fra il loro “vigneto” e quello di maso Vestri. Traditi nell’amicizia lanciarono quindi una maledizione: «da ora in poi che le viti abbiano radici fino alle punte». E così fu. Da quel momento il vigneto dei Vestri si trasformò in un roveto… un roveto per sempre.

Andrea Casna, iscritto all'Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige, albo pubblicisti, è laureato in storia e collabora con l'Associazione Forte Colle delle Benne. È stato vicepresidente dell'Associazione Culturale Lavisana e collabora come operatore didattico con il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto.

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