Due lavisani sul vulcano più alto del mondo (parte seconda)

Un viaggio avventuroso, ricco di emozioni e sorprese continue che meritano di essere raccontate

Riassunto della prima parte:

Nella prima parte del nostro racconto avevamo lasciato Cornelio e Romano al campo base ai piedi del Nevado Ojos del Salado. Il viaggio di avvicinamento era stato decisamente avventuroso ma anche sfortunato, con il furto subito nella stazione dei pullman a Santiago del Cile. I nostri due amici però non si erano demoralizzati e con due giorni di ritardo sulla tabella di marcia avevano comunque deciso di continuare nella loro impresa.

Se vi siete persi la prima parte del racconto la potete recuperare a questo link:
Due lavisani sul vulcano più alto del mondo (parte prima)

Un secondo imprevisto


L’attacco alla cima del vulcano non può essere fatto direttamente dal campo base ma bisogna appoggiarsi a un bivacco situato a 5.837 metri di altezza. Il bivacco è una baracca molto spartana con qualche brandina e lo stretto indispensabile per passare la notte prima della salita finale. Per raggiungerlo sono necessarie tre ore di cammino e il piano dei due escursionisti è quello di salire portando il grosso del materiale, scendere per passare la notte al campo base, risalire il giorno dopo con il resto dei bagagli e dormire nel bivacco, per poi partire all’alba verso la cima.

Cornelio e Romano non sono i soli a tentare l’impresa: al campo base ci sono sono alcuni gruppi, organizzati con guide locali, circa una trentina di persone in tutto. “Abbiamo socializzato e chiacchierato, provando a farci capire – ci dice Cornelio – soprattutto con un gruppo di ungheresi”.

La prima ascesa al bivacco si conclude senza intoppi e nel piccolo ricovero i nostri amici lasciano i borsoni con le corde, le piccozze e i ramponi. “Il momento si stava avvicinando e noi pieni di aspettativa siamo scesi al campo base per recuperare le ultime cose con una compagnia costante e fastidiosa, quella del vento”, racconta Cornelio. L’escursione termica è notevole, si passa dai -18 della notte ai +15 delle ore più calde, ma il vento è “una presenza costante che rende difficile anche le cose più banali e si infila in ogni pertugio delle nostre giacche. Romano poi, senza i guanti tecnici rubati, doveva accontentarsi di un paio di guanti da ‘cittadino’ – racconta Cornelio – ma non sapevamo che questo era niente rispetto alla sorpresa che ci aspettava”.

Risaliti al bivacco il giorno seguente con gli ultimi bagagli necessari alla scalata, i due lavisani restano di sasso quando vedono che i loro borsoni con tutta l’attrezzatura tecnica sono spariti. Un altro furto, questa volta in mezzo al niente del deserto di Atacama. E chiaramente nessuno degli altri escursionisti presenti ha visto nulla.

Cosa facciamo?


“Dal nervoso mi è salita la febbre. Eravamo tanto vicini alla nostra meta e tutto rischiava di saltare per un gesto vile e ignobile – racconta Cornelio -. Io e Romano ci siamo guardati negli occhi e abbiamo deciso che non potevamo mollare. Il giorno dopo avremmo fatto un tentativo salendo fino a dove potevamo arrivare senza piccozze, corde e ramponi”.

La salita al vulcano non è troppo impegnativa e solamente nella parte alta c’è un nevaio e una scalata con corde. Almeno fino a quel punto potevano provare ad andare. Poi magari la sorte, fino a quel momento avversa, sarebbe cambiata.

I due lavisani vanno a dormire e alle 4 del mattino, con il morale sotto i tacchi, si incamminano verso la cima. Il vento e il freddo non aiutano di certo a risollevare il morale, ma Cornelio e Romano, da bravi muli, si incamminano.

La vetta


La prima parte della salita è un sentiero che, proseguendo, diventa sabbia. Lungo la strada i due si accorgono che tanti altri scalatori non ce la fanno fisicamente ad andare avanti, non tanto per la difficoltà del percorso, quanto per l’altitudine, che per molti diventa un ostacolo insormontabile. I due lavisani arrivano a quota 6.660 metri: da lì in poi comincia il nevaio. Che fare senza ramponi? Sono le 8 del mattino e il sole comincia a scaldare, dando coraggio ai due alpinisti. “Pian piano ci siamo avventurati sul nevaio e abbiamo visto che facendo attenzione potevamo procedere. Rimaneva solo l’ultimo ostacolo della scalata finale”.

Fortunatamente qualche spedizione precedente aveva lasciato due corde già attaccate per la salita finale. C’è da fidarsi? Cornelio e Romano le provano. Sembrano sicure e quindi cominciano l’ascesa finale.

A ogni metro di salita la fatica svanisce lasciando posto all’euforia. “Romano è stato più veloce di me e quando sono arrivato in cima mi ha abbracciato dicendomi le parole che avevamo inseguito in tutto questo viaggio… “Ce l’abbiamo fatta!”. Non ci credevo, eravamo in cima a 6.893 metri di altezza. Niente sopra di noi e, sotto, il mondo”.

Come spesso accade in salite di questo tipo, non c’è molto tempo per metabolizzare tutte le emozioni. Qualche video, la foto di rito con il gagliardetto della Sat di Lavis e con la sciarpa dei Nomadi (passione musicale di Cornelio) ed è già ora di scendere.

Nella bufera di neve


Ancora con l’adrenalina in corpo i due amici cominciano la discesa verso il campo base. Giunti al nevaio sotto la vetta, le avvisaglie del maltempo sono evidenti. I primi fiocchi di neve cominciano a scendere e in pochi minuti le condizioni meteo peggiorano drasticamente. Trovarsi a oltre 6.000 metri in una bufera di neve non è una cosa piacevole e i due amici affrettano il passo per arrivare il prima possibile in un posto sicuro.

Arrivati al bivacco c’è ancora un margine di sicurezza per tentare di raggiungere il campo base e senza perdere tempo i due lavisani proseguono la discesa. Il meteo però è inclemente e scatena una bufera di neve che riduce la visibilità a zero.

“Non si vedeva nulla e non sapevamo nemmeno se la direzione era quella giusta – ci racconta Cornelio -. Ad un certo punto ho dovuto cercare il sentiero utilizzando il tatto e spostando la neve con le mani. La visibilità era talmente bassa che siamo arrivati a ridosso del campo base senza nemmeno accorgercene”.

Anche le altre spedizioni, dopo essere scese in fretta, stanno abbandonando il campo base sulle Jeep già cariche. “Io ero titubante ma Romano mi ha convinto a caricare velocemente tutte le cose sulla macchina e partire – ci dice Cornelio -. Dopo poche centinaia di metri, però, era chiaro che non potevamo proseguire. Non si vedeva nulla e tutto era bianco. Impossibile capire dove fosse la pista”.

Una giornata meravigliosa


La voglia di tornare alla “civiltà” è tanta ma la prudenza consiglia ai due amici di fermarsi al campo base. Si sistemano nella piccola baracca con il fornelletto e finalmente si rilassano. Il tepore di una stufetta e di una tazza di tè in certe situazioni possono rappresentare il paradiso e per Cornelio e Romano quelle ore sono un momento indimenticabile.

A mezzanotte smette di nevicare e i nostri due amici vann0 a dormire: sono stanchi e felici e hanno una storia in più da raccontare.

Il giorno dopo al risveglio li accoglie una mattinata splendida. Il cielo terso e azzurro, il sole e le montagne innevate intorno a loro sono uno spettacolo mozzafiato. I due amici si guardano e forse solo in quel momento, senza proferire parola, con gli occhi si dicono: “Ce l’abbiamo fatta davvero!”.

 

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