Due lavisani sul vulcano più alto del mondo (parte prima)

Un viaggio avventuroso che ha riservato emozioni e sorprese continue che meritano di essere raccontate

Nevado Ojos del Salado. “Ce l’ho fatta!”. Lo sguardo spazia sul mondo che c’è sotto e va oltre i confini geografici, si mischia alla fatica e alle emozioni restituendo a Cornelio Piffer una visione meravigliosa. Lui e il suo compagno di viaggio, Romano Sebastiani, sono in cima al vulcano più alto del mondo, il monte Nevado Ojos del Salado, che con i suoi 6.893 metri è la seconda montagna più alta delle Ande.

Siamo al confine tra Cile e Argentina e i due alpinisti lavisani hanno raggiunto la loro meta con un viaggio decisamente avventuroso che l’amico Cornelio ci ha raccontato una volta rientrato a Lavis.

Una pazza idea


“A me piace la montagna, ho sempre camminato e in passato avevo fatto anche alcune ascese impegnative – ci racconta Cornelio – ma non avrei mai pensato di sfidare me stesso con un’impresa simile. Poi una sera di ottobre è arrivato il mio amico Romano con la sua pazza idea”.

I due ne hanno discusso brevemente e poi si sono subito lanciati nell’organizzazione di questa spedizione dall’altra parte del mondo: destinazione Cile, Nevado Ojos del Salado, il vulcano più alto del mondo. Passaporti, visti, attrezzature, voli aerei, i tre mesi sono volati ed è arrivato subito il 21 gennaio. Cornelio ha salutato la moglie, i figli e gli amici ed è salito sull’aereo a Venezia. Un primo scalo a Madrid, un altro a Bogotà e poi finalmente l’arrivo a Santiago in Cile.

E se il buongiorno si vede dal mattino per i due amici si prospettano subito tempi di tempesta, viste le disavventure iniziate appena atterrati.

La manolesta in stazione


La tabella di marcia prevedeva un lungo viaggio di avvicinamento in pullman da Santiago a Copiapó, una grossa cittadina del nord del Cile. “È bastato un attimo di disattenzione – ci racconta Cornelio – e nella confusione della stazione dei pullman ci hanno rubato parte dei bagagli. Tutti i documenti e i soldi di Romano svaniti in un lampo. Eravamo disperati”.

Il viaggio verso Copiapò viene quindi rimandato e i due sfortunati lavisani devono avventurarsi tra la burocrazia delle stazioni di polizia e dell’ambasciata italiana nella caotica Santiago. Cornelio, ancora incredulo, ci racconta degli uffici di polizia nei saloni dei parrucchieri e delle lunghe ore seduto sui bagagli, mentre Romano cerca di recuperare almeno qualche duplicato dei suoi documenti.

Dopo due giorni, finalmente, alla sera i due amici riescono a prendere il pullman con destinazione Copiapò, la cittadina nel deserto di Atacama. Da li, con una macchina 4×4 a noleggio, inizia la salita verso le zone desertiche dell’interno. Dai 390 metri di Copiapò salgono fino ai 3.770 di Laguna Rosa, località famosa per essere popolata da una colonia di fenicotteri rosa.

Le tappe di acclimatamento


“La difficoltà di una escursione in alta montagna è la disabitudine all’altezza. Nella nostra programmazione abbiamo quindi dato molta importanza, nelle tappe di avvicinamento, a una sorta di preparazione all’altezza”, ci dice Cornelio. Nei due giorni a Laguna Rosa i due lavisani affrontano una prima ascensione su una montagna vicina, alta 4.900 mt.

Con la macchina raggiungono la meta successiva, Laguna Verde, a 4.300 metri sul livello del mare, un grande lago con acque termali spazzato da un forte vento che rende difficoltoso anche solo montare la piccola tenda.

“Nelle zone desertiche dell’interno non c’è campo, quindi eravamo isolati dal mondo. Inoltre ci sono pochissimi centri abitati e sono rare le stazioni di servizio, quindi dovevamo fare bene i calcoli per non restare senza benzina. Per non rischiare di restare a secco a Laguna Rosa abbiamo anche barattato della benzina con dell’acqua potabile che avevamo in abbondanza”, ricorda sorridendo Cornelio.

Anche qui due notti in tenda e ascesa di allenamento sul monte Mulas Muertas, a 5.700 metri.

Il campo base


L’ultimo tratto in macchina per raggiungere il campo base è una vera avventura. Non c’è una strada da seguire ma solamente una pista mutevole tracciata tra la sabbia e il terreno pietroso, che il vento modella a suo piacimento. Il campo base è costituito da un container molto spartano e da una piccola baracca che sembra la cuccia di un cane gigante. Siamo a 5.200 metri sul livello del mare.

Nei piani dei due alpinisti ci sono due giorni di riposo e preparazione prima di salire definitivamente al bivacco, a 5.837 metri, ultimo avamposto prima della cima.


Fine prima parte

(Continua…) – La seconda parte verrà pubblicata sabato mattina

 

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