Quell’indimenticabile Natale nel rifugio del Pristol

Il racconto di quando, in mezzo alle privazioni e alle difficoltà, è emerso il vero spirito del Natale

Lavis. Dicembre 1944, siamo in un altro Natale di guerra! Il freddo in quei giorni era eccezionale e intenso. Era già caduta la prima neve sul paese e tutto contribuiva ancor di più a creare caos e disordine in quel triste periodo di guerra. Mancava la luce elettrica dappertutto perché erano caduti alcuni pali che sorreggevano le linee aeree dalla centrale di piazza Loreto in poi. Scarseggiavano anche legna, vestiario e generi alimentari, pane compreso.

I bombardamenti aerei intanto si susseguivano giorno dopo giorno. Anche la notte non si dormiva quasi più a causa delle incursioni aeree del famigerato “Pippo”, un aereo così battezzato che girava quasi sempre con le tenebre a disturbare e bombardare dove c’erano luci e zone illuminate. Erano stati colpiti più volte il famoso ponte dei “Vodi” (chiamato anche “il ponte del Diavolo” dai bombardieri alleati), il ponte S.Giovanni Bosco vicino al ricovero, ma anche piazza Loreto, S.Lazzaro e naturalmente Trento nord, in diversi e svariati punti nevralgici.

Il rifugio


Fortunatamente per Lavis,i lavori sul Pristòl del rifugio antiaereo erano finalmente giunti a buon punto. Si era cominciato a scavare già all’inizio dell’anno: una lunga galleria nella roccia sovrastante lo storico ed antichissimo “Pristòl”. Si trattava di un lungo budello nel porfido della collina lungo circa cento metri e capace di contenere, come diceva il progetto preliminare, circa duemila persone!

Nel bel mezzo di un’ansa nella roccia era stato ricavato anche uno spazio abbastanza ampio, che doveva servire per una eventuale mensa, come ambulatorio ma anche come posto per l’altare per le funzioni religiose.

Avvicinandosi il tempo natalizio, qualcuno azzardò l’idea della celebrazione della Messa di mezzanotte al rifugio invece che in chiesa arcipretale. Questo per evitare anche pericoli ed eventuali fuggi fuggi in caso di allarmi improvvisi e di bombardamenti qualora si fosse stati tutti in chiesa. L’arciprete don Celestino Brigà fu subito d’accordo. Si convenne però che dato il probabile pericolo notturno di allarmi, si doveva anticipare la celebrazione subito dopo cena, intorno alle otto.

I preparartivi


Tutto venne preparato ed organizzato nei minimi particolari: il grande altare con i candelieri della parrocchia e le tovaglie fresche di bucato, quelle delle grandi occasioni, predisposte e preparate con cura dalla signora Maria Viero. In molti avevano anche collaborato con gli addobbi esterni portando da casa qualche pianta di sempre verde, poi alcuni fiori di carta confezionati dai bambini dell’asilo e dalle madri Canossiane, anche molto vischio e pungitopo con le bacche rosse raccolti sul vicino “Paion”.

Mancando l’illuminazione elettrica sul soffitto, si provvide con luminarie di fortuna: avanzi e mozziconi di candele grosse e piccole recuperati in sacrestia, lumini ad olio sparsi qua e la nei punti strategici, alcune lanterne a petrolio e anche qualche lampada a carburo avuta in prestito dall’Impresa del rifugio. Il tutto creava un ambiente surreale e suggestivo, più intimo e gradevole, proprio come essere immersi in un vero e proprio clima natalizio d’altri tempi.

L’albero e il presepio


Era già scesa la notte di quella vigilia natalizia, quando qualcuno si accorse che mancavano i segni più importanti per quell’occasione: l’albero e la capanna col “Bambinel“! Un giovanotto volonteroso si incaricò allora di recuperare per tempo la cima di un grosso abete, abbattuto da una scheggia di granata caduta nei pressi di San Lazzaro. Per il resto, purtroppo, non si trovò niente di niente: nella confusione indescrivibile di quei giorni di guerra, nessuno riuscì a recuperare nelle proprie case una statuetta raffigurante il Bambino Gesù nella mangiatoia di Betlemme.

Prima delle otto intanto il rifugio era già pieno di gente: molti i bambini naturalmente, tanti anziani e c’erano anche alcuni ammalati trasportati a braccia dalle zone più vicine al Pristòl. Don Celestino, assistito dai due suoi cappellani, insieme al catechista e anche al padre francescano di turno, iniziò la celebrazione della Messa natalizia. C’era il Coro parrocchiale, anche se a ranghi ridotti, diretto dell’esordiente maestro Silvio Casagrande assistito dal padre ex capocoro.

I primi canti si diffusero tra le volte del porfido e coinvolsero tutti gli astanti. L’Adeste Fidelis, Tu scendi dalle stelle e naturalmente anche il famoso Stille Nacht, facevano il contorno d’obbligo insieme agli altri canti principali della celebrazione, rigorosamente in latino. L’organista era il bravissimo e immancabile Giovanni Devigili, che suonava il solito, vecchio e malandato armonium, con sulle spalle il suo tradizionale mantellone nero di lana militare. Era assistito dall’onnipresente sacrestano Udalrico Vindimian (meglio conosciuto dai lavisani come “el Rico monech”), che provvedeva al cambio degli spartiti musicali e a girar pagina ad ogni nuova canzone introdotta.

Il pianto di un bambino


Tutto procedeva nel più assoluto e devoto silenzio, il raccoglimento era al massimo, la commozione dell’evento incominciava già ad avere la meglio su tuti i presenti. Lontano, intanto si udiva ben distinto il tuono della guerra: si stava bombardando a Trento, forse anche a San Michele all’Adige oppure a Mezzocorona, probabilmente anche nelle vicinanze di San Lazzaro.

Improvvisamente, quel silenzio assolutamente religioso del rifugio, venne rotto da alcuni vagiti ben distinti: era il frignare di un bambino piccolissimo, prima sommesso, poi, via via, sempre più crescente e acuto, fino a sfociare in un pianto dirotto quasi liberatorio, irrefrenabile. Non si riusciva a scorgere bene data la calca, cosa stesse accadendo, ma, tra la gente che stava muovendosi e alla fioca luce che regnava tutt’intorno, là nelle vicinanze dell’altare, quasi sotto il piccolo abete verde, si scorse una piccola creatura, un neonato di poche settimane sicuramente, avvolto in alcune coperte e da una vecchio pastrano militare che fungeva da contenitore.

Forse era stato disturbato dai morsi della fame, dall’ambiente insolito per lui o dai canti del coro. Il piccolo si era svegliato quasi completamente e quel pianto provvidenziale aveva così scosso tutti i presenti, dando il tocco più vero, gradevole e genuino a tutta quella celebrazione! Quei vagiti innocenti avevano contribuito degnamente a dare il senso più vero a quella Notte Santa e a rendere così l’atmosfera natalizia ancora più genuina del solito.

Per quel piccino era stato il primo e, grazie a Dio, anche l’ultimo Natale passato nel rifugio antiaereo. In quella notte poi non ci furono più allarmi e nessun bombardamento in giro. Anche il temuto “Pippo” non si fece ne vedere e nemmeno sentire in tutta la zona.

Oggi c’è ancora chi ricorda con nostalgia e con un groppo alla gola, al neonato di allora diventato ormai settantacinquenne, questa storiella di Natale: di quando egli, involontariamente, aveva impersonato per alcuni momenti Gesù Bambino, in quella fredda vigilia di Natale all’interno del Rifugio Antiaereo sul Pristòl.

Buon NATALE a tutti quanti !!!

Giornalista, scrive per "Vita Trentina". Per decenni è stato il corrispondente da Lavis per "L'Adige". Memoria storica e appassionato di cinema, ha lavorato come tuttofare per il Comune di Lavis fino alla pensione. Scrive per "Il Mulo" dopo essere stato una delle colonne del giornale digitale "La Rotaliana".

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