Questo articolo fa parte del progetto “Le vie dell’acqua e dell’uomo: società ed economia fra passato e presente” promosso da Ecomuseo Argentario, con il contributo della Fondazione Caritro. Partner del progetto: Associazione Culturale Lavisana; Comune di Lavis, Comune di Civezzano, Rete delle Riserve Val di Cembra-Avisio e APPA
Lavis. In questo nuovo articolo parleremo degli antichi ponti di lavis, luoghi di passaggio ma allo stesso tempo anche barriere. Il Ponte Nuovo e il Ponte Antico sono stati per secoli l’unico punto di passaggio nella valle dell’Adige sul torrente Avisio, confine fra Principato di Trento e Contea del Tirolo.
I due ponti
Per accedere al paese di Lavis si doveva oltrepassare il torrente Avisio sul ponte di legno, dove oggi sorge l’attuale ponte di ferro. Le prime case del paese già situate nei pressi di San Lazzaro, si trovano ad una quota più bassa rispetto alla sponda sinistra. Il tratto finale del ponte, infatti, a circa un terzo della sua lunghezza, in corrispondenza di un pilastro, proseguiva inclinato: il pavimento della chiesa di Loreto coincide con il vecchio piano naturale della piazza.
Henri von Blainville, nel 1707, aveva definito il ponte come una delle meraviglie della tecnica. Agli estremi del ponte si trovavano i due uffici del Dazio. Un ufficio del Dazio tirolese era situato nella casa d’angolo ad est dell’inizio del primo vicolo del Bristol e poi, dal 1796, nella cosiddetta casa del dazio nuovo vicino al ponte, mentre un dazio vescovile si trovava a San Lazzaro sulla sponda sinistra del torrente. In località ai Vodi, alla confluenza dell’Avisio con l’Adige, esisteva anche un Dazio imperiale per il legname fluito dal torrente.
Un’antica mappa di metà Settecento ci mostra una cosa curiosa. Osservandola, infatti, ci si accorge che i ponti erano due. In questo vecchio documento del 1773 infatti si vede il Ponte Nuovo (in corrispondenza dell’attuale pont de fer) e il Ponte Antico (attivo dal XIII al XVI secolo) spostato più a ovest all’altezza della chiesa di San Lazzaro. L’immagine si trova sul libro di Albino Casetti, Storia di Lavis, ma una riproduzione si trova nella prima sala della Biblioteca Comunale di Lavis. Il dazio antico, infatti, si trovava in nell’attuale via 4 Novembre ad angolo con il primo vicolo Bristol/Pristol.
Il confine
Il torrente Avisio fu per secoli, dalla seconda metà del XIII secolo, fino alla secolarizzazione del principato di Trento nel 1803, il confine fra il principato vescovile di Trento e la contea del Tirolo. Ancora prima di essere stato un confine politico il torrente è stato un confine linguistico. La nascita del confine è legata agli avvenimenti del XIII secolo che sconvolsero l’assetto geo-politico del principato vescovile di Trento. L’espansione avviata da Mainardo II Conte del Tirolo modificò non soltanto gli assetti politico-istituzionali della contea tirolese a danno di quella tridentina, ma innescò un processo di germanizzazione dei territori posti a nord del torrente Avisio attraverso l’immigrazione di genti tedesche, e all’instaurazione nella giurisdizione di Königsberg di dinasti e di capitani provenienti dai più illustri casati tirolesi e austriaci. La presenza di elementi germanofoni fece dell’Avisio il confine fra due mondi: quello tedesco a nord, e quello italiano a sud.
Nel 1475 Giovanni Maria Tiberino, letterato e medico bresciano residente nel capoluogo tridentino durante il triste processo contro gli ebrei, in uno dei suoi diari scrisse che il confine fra l’Italia e la Germania era segnato dal torrente Avisio, ma gli ambasciatori che nel 1492 si recarono a Vienna presso la corte imperiale di Federico III, a differenza del Tiberino, identificarono il confine fra Alemanna e Lombardia nel borgo di San Michele: un confine non politico ma etnico-linguistico. Altri osservatori come Angelo Massarello, il Picino, il Mariani e il Tovazzi, indicarono il torrente Avisio come il confine, la linea di demarcazione fra il principato tridentino e la compagine territoriale del Tirolo.
Il Machiavelli giunto a Trento, durante il suo viaggio in Germania per incontrare Massimiliano a Bolzano, quando chiese dov’era il confine i contadini del luogo gli risposero che era appunto il paese di Lavis: «Il fiume di Lavis, di là da Trento cinque miglia, divide l’Italia d’Alemagna, secondo dicono quelli del paese». Nel 1809, il capitano degli insorti tirolesi, Giacomo Torgler, incitò i suoi uomini a dimostrare al nemico invasore che a Lavis si difende il suolo tedesco.
La germanizzazione nei toponimi
Il periodo riguardante la germanizzazione di quest’area a nord del distretto di Trento, ebbe inizio nella seconda metà del XIII secolo, raggiungendo il momento di maggior rilievo verso la fine del XV secolo. Si trattò di un processo non spontaneo ma voluto dall’autorità tirolese e, dopo il 1363, dalla stessa causa d’Austria. L’influenza germanica si manifesta chiaramente anche nei toponimi e nei nomi dei masi fondati tra la fine del medioevo e la prima età moderna sul Monte dell’Adige: i Clinga (dal tedesco Klingen), Spon, Schorn. La parte antica del paese di Lavis sorge su di un colle chiamato Pristol che deriva dal tedesco Burgstall, che significa «luogo fortificato in posizione eminente, castello rudimentale preistorico».
Il nome Pristol emerge per la prima volta in un documento di Verla di Giovo (1584) in cui si trova indicato un bosco nei pressi del monte Prustol a Lavis e questa località è nominata in un documento di Lavis del 1694. Un altro elemento germanico è la fondazione, nella borgata di Lavis, della chiesa dedicata a un santo tedesco. Si tratta, come sappiamo, di sant’Udalrico.
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