Gli scavi archeologici sul Pristol di Lavis

Ecco che cosa è emerso dalle indagini archeologiche condotte dalla Soprintendenza per i beni culturali della Provincia di Trento

Lavis. Proseguono gli scavi archeologici nella parte alta del Pristol e continua la riscoperta di un lontano passato in cui i nostri antenati avevano scelto proprio quel luogo rialzato per costruire le loro abitazioni al sicuro dall’irruenza del torrente Avisio e godendo l’assolata posizione e la visuale sulla valle dell’Adige.

Quella serie di muretti a secco si sta rivelando un importante insediamento preistorico, di dimensioni notevoli che ben pochi confronti ha in Trentino. Chi il 29 settembre scorso ha avuto la possibilità di visitare il sito ha potuto apprezzare l’esaustivo racconto di Elena Silvestri, archeologa della Soprintendenza provinciale o meglio, dell’Unità di missione strategica Soprintendenza per i beni e le attività culturali, ma per coloro che non sono potuti essere presenti facciamo una panoramica, in attesa di una prossima occasione in cui “aprire” lo scavo alle visite.

Come lavora un archeologo


Nel 2000, durante i lavori per la realizzazione dell’acquedotto erano stati trovati nella zona del Pristol resti di un insediamento preistorico. Per questo motivo, quando si sono previsti lavori nella zona adiacente, il primo passo è stato iniziare alcune indagini archeologiche preventive, per verificare cosa si nascondesse sotto terra ed evitare di perdere definitivamente a colpi di ruspa parte del nostro passato. Gli archeologi hanno prima di tutto fatto una serie di sondaggi, e si sono trovati davanti strutture e reperti che hanno imposto uno scavo di tutta l’area. Scavando, a colpi di cazzuola, si sono avventurati in un viaggio nel tempo che li ha portati fino a oltre tremila anni fa.

Ma giustamente viene da domandarsi, come fanno a capire a quanti anni risale ciò che si stanno trovando davanti? Grazie alla ceramica, il “fossile guida” degli archeologi, che osservando i frammenti di vasi, recipienti e stoviglie riescono a capire con grande precisione a quale epoca appartengano. Questo in virtù dell’atavico gusto per la moda che ha sempre contraddistinto gli umani, i quali decoravano le loro creazioni in terracotta in maniere sempre diverse, non diversamente da come noi oggi facciamo con l’abbigliamento.

Il primo villaggio


È con questo sistema che si è potuto capire che i nostri antenati realizzarono il loro villaggio nel periodo dell’età del Bronzo recente, ossia all’incirca a partire da 1350 anni prima di Cristo. Un villaggio di grandi dimensioni, composto da una serie di casette a schiera che si affacciavano lungo una via che correva da sud a nord. Di queste abitazioni non ci resta che il muretto perimetrale a secco, sopra cui veniva realizzato il resto della struttura con pali lignei, che sostenevano un tetto probabilmente in paglia o canne, di cui chiaramente non rimane nulla.

Una casa è stata realizzata in un’epoca successiva nella parte nord, proprio nel mezzo della strada; di certo non c’era un rigido piano regolatore o meglio, era ormai cambiata la struttura del villaggio. È l’unica casa che si può vedere nella sua interezza, essendo stato scavato tutto il perimetro quadrangolare. Più ampia delle precedenti, va a tagliare le altre capanne.

A nord di questo edificio sono poi spuntati più muri paralleli, un limite del villaggio su questo versante più volte ricostruito. La realizzazione della strada ha impedito di capire quale fosse l’andamento di quest’opera a secco.

Interessante è come sia stata usata una grossa pietra con una grande quantità di coppelle per la costruzione di un muro. Le coppelle sono piccole semisfere scavate, ancora misteriose e dal significato ancora non del tutto chiarito per la Preistoria.

Rurali Reti


Toccò poi ai Reti stabilirsi su quell’assolato terrazzo: realizzarono nella parte centrale un deposito per stoccare le loro derrate alimentari. C’era solo un problema con questi edifici lignei, che prendevano fuoco troppo facilmente, sorte che toccò anche a questo magazzino che ora ci appare come un rettangolo annerito. E così di fronte a una tragedia protostorica che avrà fatto disperare gli abitanti di questo villaggio, gli archeologi oggi si rallegrano; questo non perché siano insensibili, ma poiché i semi carbonizzati si sono conservati fino ai giorni nostri.

Ed ecco che di fronte a noi rivive la dieta degli uomini della seconda Età del Ferro: orzo, lenticchie, piselli e miglio. Ma poteva mancare la protagonista indiscussa delle colline avisiane? Anche nei secoli precedenti l’arrivo dei romani qua si coltivava la vite, come testimoniano i vinaccioli, forse testimoni della produzione di quel vino retico che sarà decantato anche dai poeti latini.

Misterioso medioevo


Avvicinandosi alla strada, lo scavo è andato a disturbare il sonno eterno di alcuni lavisani di altri tempi. Due scheletri e mezzo (l’altra metà se la è portata via il lavoro per la realizzazione della strada moderna) riposavano sepolti sopra al villaggio preistorico. Difficile capire a quando risalgano queste sepolture.

Chi li ha inumati non si è premurato di dar loro alcun corredo, nessun manufatto che ci dica chi fossero e quando sono vissuti. Per la loro posizione si ipotizza possano essere di età altomedievale, forse legati in qualche modo alle evidenze di insediamento fortificato individuato sul doss Paion, o, addirittura, alle sepolture dei guerrieri longobardi trovate in zona ancora nell’ottocento. Per ora solo le analisi al carbonio 14 potranno rivelare qualcosa in più.

E ora?


I lavori degli archeologi proseguono, resta ancora da indagare la parte meridionale dell’insediamento, e chissà che non spuntino nuove sorprese. Una volta messi in luce i resti archeologici su tutta l’area si potrà avere un’idea più precisa dell’insediamento antico in tutte le sue fasi e decidere in merito alla realizzazione delle opere edilizie previste.

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