A poche ore dalla sua ordinazione in Duomo il nuovo sacerdote canossiano ci parla di se e della sua vocazione
Lavis. È fatta: Andrea Giannino, 33 anni, ieri pomeriggio ha ricevuto l’ordinazione presbiterale in un Duomo gremito di persone, tra sacerdoti, familiari e tanti amici, anche dalla lontana comunità di Fasano, dove da due anni Andrea si trova a svolgere il suo servizio.
Toccante il momento quando il nostro amato Padre Giuseppe ha abbracciato Andrea, per poi scappare di corsa asciugandosi le lacrime, commosso ripensando a quanto la nostra comunità sia rimasta nel suo cuore. Nonostante sia passato qualche anno da quando i canossiani hanno lasciato Lavis, i nostri incontri con i padri continuano a far vibrare di luce le corde della nostra anima, rendendo sempre vivi i ricordi più belli dell’infanzia di molti di noi. Proprio Padre Giuseppe era lì, presente quando Andrea muoveva i primi passi in oratorio, proprio lui lo aveva arruolato nella grande famiglia dei chierichetti: una presenza costante la sua, che tutti i presenti hanno potuto percepire in quell’abbraccio commosso che tanto aveva il sapore di chiusura di un cerchio.
Come tutte le cose più belle, il viaggio di Andrea inizia ora: il prossimo venerdì, 8 settembre, celebrerà la prima messa nella sua Lavis, e noi non possiamo far altro che aspettarlo a braccia aperte, augurargli un buon cammino, una vita piena, felice, e che possa esercitare il suo ministero nel migliore dei modi, trovando forme sempre nuove per annunciare quel Gesù Cristo che ha sconvolto la sua vita
Come ha reagito la tua famiglia?
I miei genitori mi hanno sempre accompagnato senza mai farmi pesare o capire delle aspettative che avessero nei miei confronti. Non mi hanno mai ostacolato e anzi, hanno vissuto con gioia la mia scelta.
In che percentuale fanno parte della tua vita paure e ripensamenti? Ti lasci condizionare?
Mi capita di vivere periodicamente momenti di crisi perché si presentano situazioni o difficoltà nell’apostolato o nella relazione della comunità e penso “perché devo fare tutta questa fatica?”. Accuso le difficoltà e le fatiche inevitabili di una vita che non sai oggi o domani cosa ti può succedere. Io ringrazio che in questi dieci anni ho messo da parte tutta una serie di prove non solo dell’esistenza di Dio, ma prove del fatto che la mia esistenza è accompagnata dalla presenza di Dio. Ogni tanto mi sembra di non capire perché le cose accadono in un certo modo e cosa devo fare di fronte a quello che accade: queste sono le mie crisi.
In un 2023 che ci presenta l’immagine di un mondo occidentale lontano dalla Chiesa e dai suoi dogmi, cosa significa diventare sacerdote? A cosa è dovuto secondo te il calo nelle vocazioni? È la Chiesa o la religione in sé ad essere passata di moda?
Sono convinto di una cosa: che essere cristiani vuol dire vivere una relazione con la persona viva di Cristo. La chiesa ha il compito, in ogni epoca, di rendere il più possibile accessibile questa relazione. Sono contento che la Chiesa trovi forme sempre nuove di annunciare e dire che Cristo è vivo. Io guardo la situazione della Chiesa e un po’ mi dispiace pensare che certe forme non ci saranno più tra dieci anni, ma dall’altra non ho dubbi che Cristo sia vivo e che il mio compito sia farlo conoscere, lo Spirito ci suggerirà nuovi modi. A mano a mano che si andrà avanti la Chiesa troverà modi più efficaci.
Com’è cambiata la Chiesa negli ultimi anni?
In questi ultimi vent’anni sono nate moltissime forme nuove di vita consacrata, tante vocazioni nella vita di clausura, tante famiglie in giro per il mondo che hanno scoperto l’ascolto domestico della Parola. Tante cose sorgono e noi neanche lo sappiamo. Sono forse in crisi alcune delle sue forme tradizionali, che ci hanno accompagnato per secoli e sono state fondamentali, ma che in questo momento la Chiesa sta scegliendo di modificare, non perché è cambiato il messaggio o la verità di fondo, ma perché è cambiato il modo di rendere presente Cristo.
La Chiesa è una famiglia, una comunità con le sue fatiche, i suoi drammi e i suoi peccati: ma ricordiamoci che non coincide con Gesù Cristo. Semplicemente è lo strumento che rende presente e deve rendere presente Gesù, e lo fa, solo che non fa notizia. Non confondiamo lo strumento con il protagonista.
Il tema della Gmg era “Maria si alzò e andò in fretta”, invita ad andare in fretta, in un 2023 che invita alla fretta, verso dove vale la pena di andare?
Vale la pena andare in fretta dove ci siano luoghi, comunità o persone che promuovono la vita, vita fatta di relazioni, una vita piena che sa prendersi cura dell’altro. Lì vale sempre la pena andare in fretta, dove ci si prende cura della vita e dell’altro in maniera generosa e gratuita, senza tornaconto.
Cos’è la pienezza?
Nella mia esperienza la pienezza la traduco quando tu trovi una prova tangibile che puoi permetterti di esistere così come sei, perché qualcuno ti ama così come sei, e proprio per questo puoi permetterti il lusso di consumarti per qualcun altro perché non hai bisogno di altre garanzie o di altre prove che valga la pena che tu esista. Tu hai una prova così certa di essere amato che non ti interessa più di tenerti niente per te. Questo è la pienezza, quando non hai bisogno di guadagnarti più niente.
Perché esperienze come la Gmg attirano così tanti giovani?
Vale la pena fare una Gmg anzitutto perché per una settimana una capitale europea viene presa d’assalto da dei giovani ai quali il rappresentante supremo della Chiesa dice “voi andate bene e siete preziosi così come siete per l’umanità”. Questo è il punto fondamentale della Gmg sulla quale poi si innestano tutte le esperienze di fede.
Il compito primario della Chiesa è benedire, cioè dire “guarda che la vita è un bene che viene da Dio, tu sei benedizione”. La Chiesa comunque ha centrato il suo compito, a prescindere. Il suo compito, nella massima istituzione che la rappresenta (cioè il papa) è dire alla realtà, alle persone, alla vita della gente: “voi siete una benedizione”.
Se poi c’è anche la risposta del rispetto, della devozione e del silenzio, come accaduto durante la veglia di preghiera con il papa a Lisbona, meglio. Ma io sono disposto a dire che anche non ci fosse stato quello la Giornata Mondiale della Gioventù sarebbe valsa la pena.
Sentire quelle parole dalla massima carica della Chiesa ha un valore enorme. Chiesa che non scappa di fronte alla realtà, ma che dice alla realtà che anche se è scomoda, faticosa, comunque è una benedizione.
Cinquecento vescovi che rispondono alle domande dei giovani, anche alle più scomode, senza paura. Magari quei vescovi non hanno saputo rispondere a tutto, ma anche che abbiano considerato di spendere il loro tempo per stare in mezzo a quei giovani per dirgli che sono preziosi è il compito della Chiesa, lo fa con i giovani e dovrebbe farlo con tutti, sempre, perché è il primo messaggio che c’è nella scrittura ed è il primo messaggio che Dio dà all’uomo “tu sei prezioso ai miei occhi”.
Poi se si vuole vivere di questo se ne parla, si struttura la vita, ci sono le regole e si impara un modo per vivere con Lui. Questo la Gmg lo fa, lo sta facendo, e se continuerà ad essere fatta così, la Chiesa servirà primariamente a questo. Tutta la fede che nasce nei giovani poi è una cosa in più, che è bellissima, ma non è un’operazione di marketing. Non è che lo facciamo per dire che siamo in tanti, o per dire al mondo “voi dite che i cristiani nel mondo non ci sono più e invece ecco qua un milione e mezzo di giovani”, non è quello.
Anche perché come diceva qualche analista molto critico, quel milione e mezzo di giovani, in Chiesa la settimana dopo non c’era, ma va bene. E non è necessariamente falso, ma la Gmg non doveva essere un’operazione di vendita.
Il compito della Chiesa non è fare proseliti. L’istituzione può far fatica, può zoppicare, può doversi modificare, ma non vive di sé stessa, vive di una presenza che va oltre. Anche chi fa fatica, in particolare i giovani, a sentirsi a casa nella Chiesa, non perdano anche solo la curiosità di andare a vedere dove sta questo Cristo che è vivo e c’è.
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