La campionessa italiana di pattinaggio artistico su ghiaccio ci ha raccontato come ha vissuto questa sua prima esperienza olimpica
Rovereto. A rappresentare l’Italia alle Olimpiadi di Pechino era presente anche la pattinatrice trentina Lara Naki Gutmann. Il Mulo l’ha raggiunta telefonicamente per un’intervista, appena rientrata da una breve vacanza con i genitori nella località balneare che frequentava da bambina. Ora ha già ripreso ad allenarsi in vista delle prossime gare.
Lara Naki da due anni è la campionessa italiana in carica di pattinaggio artistico sul ghiaccio. Classe 2002, nel suo palmarès può già vantare, oltre ai titoli italiani e alle Olimpiadi, anche diverse partecipazioni a gare internazionali, due campionati europei e un mondiale. Abita a Rovereto, fa parte delle Fiamme Oro di Moena e si allena al Circolo Pattinatori Artistici Trento seguita dal coach Gabriele Minchio.
Lara Naki a Pechino link
Non hai ancora compiuto vent’anni e hai già partecipato alle Olimpiadi. Raccontaci questa esperienza, non solo sotto l’aspetto sportivo, ma anche personale
Meno di vent’anni, è vero, però c’è sempre la fretta di riuscire a realizzare i propri sogni, e andare alle Olimpiadi è sempre stato il mio sogno. Per questo per me è stata un’emozione pazzesca. Ripensare anche solo al primo giorno, quando ho pattinato in allenamento sopra al ghiaccio coi cinque cerchi: quella è proprio un’immagine che mi ricorderò sempre. È stato un peccato sicuramente che ci fosse il Covid, perché non abbiamo visto niente. Eravamo chiusi nel villaggio e cercavamo di stare lontani. È stata un’Olimpiade diversa dalle altre, ma me la porterò nel cuore.
Cosa significa pattinare in epoca di pandemia? Quanto è difficile e quanto può influire sulla prestazione?
Forse è più difficile mentalmente, perché sugli allenamenti la pandemia ha influito di più all’inizio, quando c’erano più restrizioni. Adesso riusciamo ad allenarci abbastanza normalmente. Mentalmente invece è molto difficile, per esempio prima della partenza per Pechino, da Natale, quindi quasi per due mesi, non ho visto nessuno. Per le due settimane subito prima delle Olimpiadi addirittura ho preso in affitto un appartamento, perché comunque mia mamma e mio papà, con cui abito, lavorano e quindi volevo togliere anche il loro contatto come sicurezza ulteriore.
Tornata dalla Cina ero un po’ sfinita da quel punto di vista. La difficoltà principale secondo me è la necessità di tagliare i contatti, e non è una cosa facile, soprattutto alla mia età. Anche per condividere le emozioni e per parlare, tutto quello un po’ manca. Appena rientrata ho rivisto tutti nel giro di due giorni! Adesso sono più tranquilla. Spero anche che vada meglio in generale d’ora in avanti, anche se ovviamente devo stare sempre attenta, perché la stagione non è finita e devo continuare ad allenarmi.
Sappiamo che ti alleni tutti i giorni. Qual è la tua giornata tipo?
Dal lunedì al venerdì sono quasi tutto il giorno al Palaghiaccio di Trento: parto alle 10.30 da casa e torno alle 18. Faccio tre ore sul ghiaccio e un’ora, un’ora e mezza fuori, tra ginnastica, danza e rotazioni. Facciamo i salti che facciamo sul ghiaccio, ma a terra, e un po’ di esercizi. Quindi tutta la settimana è impegnatissima, poi il sabato è libero e la domenica mattina presto faccio ancora due ore sul ghiaccio. Nelle settimane delle gare è diverso, ci alleniamo di meno perché dobbiamo condividere la pista con le altre atlete, poi con i viaggi e gli spostamenti cambia proprio il programma della giornata.
Come fai a gestire l’emozione prima di una gara? Parliamo sempre della preparazione fisica, ma anche quella mentale è importante. Hai imparato delle tecniche? E poi, hai qualche scaramanzia?
È importantissima la parte mentale, una volta arrivati in gara è quasi più importante della parte fisica. Prima lavori tanto fisicamente, ma se in gara non riesci a gestire l’emozione, rischi di sbagliare tutto. Puoi aver lavorato bene quanto vuoi in allenamento, ma se non sei saldo mentalmente, non va.
Io ho fatto un percorso con una psicologa dello sport e di sicuro mi ha aiutato. Ho imparato anche delle tecniche di respirazione e rilassamento, però conta soprattutto l’esperienza. Più gare faccio, più vedo che va meglio. Forse il momento peggiore è dopo l’estate, quando devi ricominciare dopo un periodo in cui non ci sono gare. Devi riprendere tutti quei meccanismi per gestire le emozioni. È più difficile.
Scaramanzie in realtà non ne ho. Quando ero più piccola ne avevo tante, poi col tempo ho capito che era quello che mi fregava. Devo riuscire a far bene indipendentemente da quello che accade all’esterno. E questo col tempo lo impari. Quindi la mia scaramanzia è non avere scaramanzie!
Qual è il tuo parere sulla vicenda di Kamila Valieva? Sembrava inarrivabile e poi alla fine è crollata. Come lo vedi il fatto di vincere, di avere la migliore prestazione a tutti i costi?
(Kamila Valieva, a 15 anni campionessa europea, trovata positiva al doping a Pechino, si è classificata ai piedi del podio, ndr)
Mi dispiace davvero per lei, perché le è caduta addosso una cosa molto più grande di lei nel momento peggiore. Non è solo questione di doping e non so neanche fino a che punto lei ne fosse consapevole. Sicuramente avrà avuto molta pressione dal punto di vista psicologico e non dev’essere stato facile. Tra l’altro, succede adesso, proprio nel momento dell’Olimpiade!
Allo stesso tempo però aspettiamo di sapere cos’è veramente successo e le decisioni che verranno prese perché lo sport deve essere pulito, e bisognerebbe giocare ad armi pari. Sicuramente, a parte la vicenda doping, il pattinaggio negli ultimi anni ha portato all’estremo la competitività dal punto di vista tecnico con sforzi fisici eccezionali, che nel tempo danneggiano il fisico. Non è la prima volta che si vede un atleta anche giovanissimo vincere un mondiale o un’Olimpiade e poi smettere. Proprio per questo dopo Pechino l’ISU sta pensando di alzare l’età minima per la categoria senior.
Guardando i grandi campioni in tv, a volte pensiamo che debbano per forza trasferirsi in grandi città o andare all’estero per emergere. Tu vivi ancora dove sei nata, frequenti il circolo dove hai iniziato e hai sempre lo stesso allenatore di quando eri piccola.
Ho iniziato a Trento e ho sempre continuato qui. Ho avuto collaborazioni con un insegnante russo e sono andata spesso in Svizzera. Ovviamente serve girare un po’, per fare esperienza, per avere stimoli diversi. Trento è comunque un centro buono, questo è importantissimo. Altrimenti non sarei potuta rimanere. Qui mi trovo bene, mi trovo bene con gli insegnanti e penso che sia un buon centro, una buona squadra. Essendo però un centro piccolo, per avere degli stimoli in più oltre alle gare bisogna andare all’estero ogni tanto, imparare nuove tecniche, cercare collaborazioni altrove. Però sì, per me è stato possibile restare, finché mi trovo bene e riesco ad allenarmi bene io sono felice.
Lara, tu pattini fin da quando eri piccola. Secondo te perché questo sport è speciale? Perché l’hai scelto?
Io pattino da quando avevo 4 anni. Quando ero piccolissima ho visto le Olimpiadi di Torino in televisione e ho chiesto subito ai miei genitori se potevano portarmi a pattinare. Mi ricordo qualche immagine del pattinaggio in tv, ero proprio piccola.
Quindi non ti ricordi una vita senza pattini…
Praticamente no, facevo anche ginnastica artistica in quel periodo, ma fin da subito l’impegno per il pattinaggio doveva essere massimo, perché è uno sport dove fin dall’inizio bisogna avere costanza e impegnarsi in tante ore di allenamento. Quindi ho dovuto scegliere e ovviamente ho scelto il pattinaggio!
All’inizio sicuramente, da bambina, mi hanno colpito i costumi, mi piacevano tanto questi abiti pieni di brillantini. Poi ho visto Carolina (Kostner, ndr)! Mi era piaciuto subito vedere i pattinatori che scivolavano, andavano così veloci sul ghiaccio. Poi quando ho provato mi sentivo bravina, sentivo che andavo veloce e mi piaceva questa dinamicità.
Col passare degli anni ovviamente, anche da ultimo, ci sono state delusioni, infortuni, periodi no. Qualche domanda te le fai, ti chiedi cosa fare se non riesci a far diventare il pattinaggio qualcosa che ti può portare aventi negli anni. Domande te ne fai. Però non lo so cosa mi ha sempre spinto ad andare avanti, sicuramente la passione, e comunque andare oltre i miei limiti, cercare di sconfiggere questi dubbi su me stessa.
Come convinceresti una bimba o un bimbo a iniziare?
Direi che devono provare assolutamente perché è uno sport bellissimo. È proprio uno sport particolare, un mix di cose diverse, molto artistico e molto tecnico. È tutto un insieme speciale, e poi sul ghiaccio che lo rende ancora più speciale. Quindi è da provare sicuramente.
Hai voglia di raccontarci cosa significa il tuo nome? A volte i giornali scrivono Naki Gutmann come se fosse tutto un cognome.
Il cognome è Gutmann perché il papà e i nonni sono di Bolzano. Naki invece è sempre il mio primo nome. Lara Naki si scrive staccato ma è tutto un primo nome. Naki è un nome portafortuna, vuol dire “la primogenita”: c’è tutta una storia dietro, legata a un amico ghanese dei miei genitori. Il nome infatti viene dal Ghana. Questo loro amico, quando aspettavano me, ha detto loro di chiamarmi così come portafortuna. Nel frattempo, ancora prima che nascessi, lui è mancato, e quindi anche per questo hanno deciso di chiamarmi così.
Come ti immagini tra dieci anni?
Tra dieci anni? Non lo so, è troppo in là! Non so se sarò ancora un’atleta. Dieci anni sono tanti e non so se ce la faccio. Fino alle prossime Olimpiadi però vorrei lottare e provarci. Poi si vedrà. Le prossime Olimpiadi sono Milano-Cortina 2026 e quindi, sì, sarebbe bello partecipare! E poi vorrei qualificarmi per la gara individuale, visto che quest’anno non ci sono riuscita per meno di un punto. L’obiettivo più lontano per ora è quello.
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