Vivere nelle retrovie: la Grande guerra a Lavis

Fra stenti, malattie e la convivenza forzata con i reggimenti imperiali di stanza in paese

LAVIS. Si è concluso da qualche mese il centenario a ricordo del Primo conflitto mondiale. Una guerra, quella iniziata nell’agosto del 1914 e terminata nel novembre del 1918, che portò a inevitabili mutamenti sociali e politici. I grandi Imperi centrali, infatti, cessarono di esistere per lasciare spazio a una moltitudine di nuove realtà statali.

Il Regno d’Italia ne uscì vincitore ottenendo i territori italiani, e non solo, che fino a quel momento erano parte integrante da secoli dell’ormai estinto Impero Austroungarico. Trento, Bolzano e Trieste diventarono città italiane, con conseguenze drammatiche per la popolazione di lingua tedesca dell’Alto Adige.


UN BILANCIO TRAGICO


1. La guerra mondiale lasciò dietro di sé 10 milioni di morti e il bilancio fu tragico anche per il Trentino con 12 mila caduti su 55 mila arruolati. A partire dal maggio 1915, con l’ingresso dell’Italia in guerra contro l’Impero, il Trentino diventò linea di fronte: più di 100 mila civili, donne, bambini ed anziani, dovettero abbandonarono le proprie case per essere sfollati in campi profughi.

Allo stato attuale le ricerche parlano di 70 mila sfollati nelle regioni centrali dell’Impero e di circa 30 mila in Italia. Molti di questi, come raccontano gli archivi parrocchiali, non fecero mai più ritorno morendo lontani dal proprio paese e dalla propria valle per stenti e malattie.


LA GUERRA A LAVIS


2. La comunità di Lavis non conobbe la guerra di posizione (la linea del fronte infatti passava, fino al maggio del 1916, all’altezza di Rovereto) e nemmeno lo sfollamento.

(Archivio Museo storico italiano della guerra, Rovereto)

I civili rimasero a casa per essere impiegati in varie mansioni al servizio dell’esercito. Lavis visse una guerra di retrovia fatta di incursioni aeree, di discriminazione politica per i sospettati di irredentismo e una guerra fatta di stenti, di malattie e di convivenza forzata con i reggimenti imperiali di stanza a Lavis.

La borgata, con le sue frazioni, infatti, rivestì un ruolo importante per il rifornimento di munizioni, generi alimentari e sanitari per gli uomini in prima linea. Furono ampliati gli scali ferroviari, si costruirono magazzini per lo stoccaggio dei rifornimenti e, per agevolare i trasporti, si costruì un nuovo ponte sul torrente Avisio.

Per questo motivo Lavis, come tutto il settore a nord di Trento, come si vede nell’immagine (conservata all’Archivio del Museo Storico Italiano della Guerra), entrò nell’area di interesse del Servizio Informazioni dell’Esercito Italiano: l’organo incaricato di studiare le linee del fronte e le retrovie attraverso spie, disertori, prigionieri di guerra e fotografie scattare durante le ricognizioni aeree.


3 UN LUOGO DI SVAGO


3.Come scrive lo storico Albino Casetti1, in paese si soffriva la fame e le case erano piene di soldati d’ogni nazionalità dell’Impero austro-ungarico.

Nel palazzo de Schülthaus si trovava il comando di Tappa. Il Ministero dell’agricoltura invitò i contadini ad abbandonare le coltivazioni superflue per dare maggiore importanza a frumento, granoturco, segala e legumi. Il cinema e il teatro diventarono luoghi di svago per le truppe in licenza.

Nel 1916 la municipalità di Lavis rinnovò il voto alla Maria Vergine e il 24 febbraio del 1917 furono requisite, per essere fuse, tre campane della chiesa di Sant’Udalrico: la quarta, la maggiore, si salvò grazie al suo pregio artistico poiché fusa nel 1603.

Nel corso della guerra il greto dell’Avisio fu utilizzato dalle truppe austro-ungariche per le esercitazioni con le bombe a mano e sulle alture del Pian alle Careghe, inoltre, a partire dal 1918 furono realizzate delle trincee per rinforzare il sistema difensivo di Trento.


MORTI DIMENTICATI


4.Alcuni lavisani furono internati a Katzenau perché sospettati di irredentismo. Fra questi troviamo: Antonio Cembran, Battista Azzolini, Ciro Marchi, Carlo Marchi, Battista Perini, Dario Perini, Alberto Perini, Pompeo Gentilini, Giuseppe Calliari, Fortunato Romani e Maria Degasperi.

La vicinanza del campo di aviazione di Gardolo fece conoscere alla popolazione le prime atrocità della guerra aerea e, grazie al vicino campo di prigionia, sempre a Gardolo, la popolazione ebbe modo di entrare in contatto con prigionieri di guerra serbi, russi, romeni, inglesi e anche italiani, usati dalle autorità militari, in modo particolare serbi e russi, nei lavori dei campi come manovalanza a supporto dei contadini locali e nelle immediate vicinanze del fronte come operai, per esempio, nella costruzione di strade.

Sul registro dei morti della parrocchia di Lavis, del 1919, si legge: «nel cimitero di Lavis sono sepolti anche altri soldati, i quali non furono registrati su questo Registro perché l’autorità militare aveva disposto altrimenti». Sono sei soldati di origine serba e russa che furono sepolti fuori dal campo santo e tre sepolti all’interno del cimitero: Giuseppe Manildo (65° Regg. Fanteria) deceduto il 19/03/1919; Pietro Steintzer, nato nel 1882 e morto nel 1916 e Dante Calestani nato a Colorno (Parma) nel 1896 e morto l’8 giugno 1919.

(Continua…)

Note

  1. A. Casetti, Storia di Lavis, Giurisdizione di Königsberg-Montereale, Trento, Temi, 1981

Andrea Casna, iscritto all'Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige, albo pubblicisti, è laureato in storia e collabora con l'Associazione Forte Colle delle Benne. È stato vicepresidente dell'Associazione Culturale Lavisana e collabora come operatore didattico con il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto.

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