Lettera a mio nipote. Quando a Lavis passavano i treni verso i campi di concentramento

In occasione della giornata della memoria, Eliana scrive al nipote Thomas per raccontargli una storia che riguarda il suo trisnonno. Dove si riflette anche il passato del paese

Innocenzo Pilati

Caro Thomas,

L’altro giorno abbiamo parlato della fiaccolata per il giorno della memoria e ti avevo accennato a quello che mi raccontava il mio nonno (tuo trisnonno) e mi hai detto che ti avrebbe fatto piacere conoscere qualcuno di questi racconti anche per portarli alla tua maestra di religione. Ed eccoci qua!

La storia del trisnonno


Mio nonno Innocenzo Pilati (tuo trisnonno), nato a fine 1800, residente a Pressano di Lavis, ogni anno a gennaio era solito raccontarmi una storia… vera! Lui era contadino e possedeva un vigneto confinante con i binari del treno e la piccola stazione di Lavis. Conosceva a memoria i pochi treni che passavano, trasportando persone, merci, legnami e animali. Pochi treni si fermavano a Lavis, scendeva qualche persona, si caricavano i legnami e le altre merci.

Iniziata purtroppo la seconda guerra mondiale (1940-1945) i treni erano più numerosi e con essi anche i bombardamenti nel fondo valle. Ma… qualcosa lo aveva colpito, una brutta sensazione: anziché sentire provenire dai vagoni versi di animali come solitamente succedeva, ora sentiva lamenti, pianti, grida di persone. Dalle notizie alla radio capì: erano i treni che trasportavano da tutta Italia persone che, pur non avendo alcuna colpa, erano indesiderate da chi governava.

Treni che si fermavano


A Lavis spesso i treni si fermavano qualche minuto, poi ripartivano. Innocenzo era un uomo profondamente cristiano e avrebbe voluto tanto aiutare queste persone, aprendo i vagoni e facendoli scappare per tornare alle loro case ma c’erano tantissime guardie che controllavano il treno e Innocenzo aveva paura.

In suo aiuto vennero Annamaria (sua figlia, ossia mia mamma e tua bisnonna) con Caterina e Beppina (le altre due sue figlie) che portavano da bere per i poveri prigionieri. Le guardie per fortuna lasciavano aiutare in questa maniera. Oltre a portare da bere a volte riuscivano a far passare per i piccolissimi finestrini anche un po’ di frutta. Beppina, che aveva studiato, si segnava velocemente i nomi e gli indirizzi dei familiari di queste povere persone per poter poi comunicare a loro che i loro cari erano in viaggio verso i campi di prigionia. Scrisse davvero tantissime lettere per comunicare queste tristi notizie.

Beppina Pilati

Guardie cattive


Sempre la Beppina un giorno si accorse che la grande maniglia che chiudeva un vagone era traballante. E allora decise di indicare (stando molto attenta) ai prigionieri che c’era forse la possibilità di scappare. Questo poteva succedere pochi chilometri dopo Lavis perché in una curva il treno doveva rallentare.

Col passare del tempo però c’erano anche delle guardie cattive che non lasciavano nemmeno portare da bere ai prigionieri. Innocenzo, Annamaria, Caterina e Beppina però intanto continuavano a pensare a quella maniglia rotta, si sarà salvato qualcuno? Le guardie avranno invece capito che era traballante e l’avevano aggiustata?

La fuga


Finì anche la guerra (1945) e anche se la vita continuava la speranza che qualcuno si fosse salvato c’era sempre. Fino a quando un bel giorno bussò qualcuno alla porta, uno sconosciuto, con uno sguardo che trasmetteva gioia, felicità e gratitudine. Quel signore era uno dei prigionieri deportati che riuscì a scappare dal treno in corsa proprio grazie al suggerimento di Beppina e venne a ringraziare tuo trisnonno Innocenzo e le figlie.

Parlarono molto, si raccontarono tante cose, per esempio che furono varie persone a scappare dal treno grazie a quel trucco che poi riuscirono, con molte difficoltà, a tornare nelle loro case.
Solo questo signore riuscì a ricordarsi di essere scappato proprio vicino a Lavis grazie ai suggerimenti di Beppina, gli altri non si ricordavano e il loro pensiero principale era di mettersi in salvo.
Questa storia mio nonno me la raccontò per tanti anni ma ogni volta era come la prima.

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