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“Vecchi mestieri addio”: a Lavis sono scomparsi gli artigiani delle botteghe storiche

LAVIS. Le botteghe-laboratori artigiani di una volta sono ormai inesorabilmente scomparsi e anche la borgata lavisana ha subito una trasformazione radicale e ormai pochi, anzi pochissimi, sono ormai coloro i quali hanno tramandato i segreti del loro lavoro da padre in figlio.

Quindi vecchi mestieri addio, in giro per la borgata ormai si notano da tempo i locali chiusi, le saracinesche consunte dal tempo e arrugginite, le vecchie insegne scolorite che hanno lasciato il posto ai ricordi del bel tempo che fu.

Una nuova Lavis

1.Lavis è oggi un centro commerciale, industriale e ancora fortunatamente agricolo, anche se le campagne di un tempo colorite di verde, di coltivazioni vitate e di foglie multicolori, stanno segnando il passo per lasciare il posto al cemento e al mattone, con le costruzioni faraoniche inserite ormai nei vari comparti edificabili e non, grazie anche alle deroghe dei vari Prg… morbidi!

In nemmeno cent’anni Lavis ha cambiato completamente volto e le storiche botteghe artigiane, che fino all’ultimo dopoguerra si affacciavano su tutte le vie più o meno importanti, oggi sono pressoché scomparse inesorabilmente e quasi del tutto. Quelle rare rimaste ancora in attività, anche come tradizione famigliare, si possono contare sulle dita di una sola mano e quindi sono rimaste proprio rare sull’intero territorio.

Officina dei fratelli Pezzi

Dalla nascita al funerale

2.Negli anni ’90 stava finendo una epoca gloriosa e proprio allora stavamo registrando i ricordi del falegname Antonio Moscon (classe 1906), uno dei personaggi più rappresentativi e fino agli anni ’80 era stato anche presidente proprio dell’Associazione degli Artigiani di Lavis. Antonio (Toni per gli amici e conoscenti), aveva iniziato a lavorare a 18 anni nella bottega di suo padre, aperta ancora nel 1892 in via Damiano Chiesa a Lavis.

Allora erano ben cinque le falegnamerie che servivano i lavisani ma anche i valligiani, che entravano in bottega nei momenti più importanti e significativi della loro vita. Quando cioè nasceva un figlio per ordinare una culla in legno, in occasione del matrimonio per commissionare i mobili di cucina e di camera, poi se si edificava e si ampliava la casa anche per porte, finestre e anche pavimenti vari. Dulcis in fundo poi, alla fine della vita di nonni, genitori e parenti di casa, si andava in falegnameria anche ad ordinare la bara per il funerale

Una lira al mese

3.Anche il tipo di lavoro era poi cambiato radicalmente con lo scorrere del tempo, prima il cosiddetto maestro artigiano che creava come un artista il prodotto, poi piano, piano, ci si è affidati completamente ai progettisti di settore, agli architetti e alle macchine automatiche e moderne.

I nostri vecchi ricordavano ancora i famosi “volti” della borgata, dove si poteva trovare sempre un bravo artigiano per tutte le esigenze, il quale aveva alle dipendenze uno o più garzoni-apprendisti. Questi non solamente lavoravano “a gratis”, ma dovevano pagare al padrone-istruttore-maestro una lira al mese per tutto l’insegnamento che ricevevano in bottega…

Il “ciopeta”

4.E fino a quasi un secolo fa si poteva trovare in piena Lavis ogni tipo di artigiano, con la sua brava e caratteristica bottega, sempre aperta in ogni ora della giornata e magari anche la notte, a seconda dei lavori urgenti che c’erano da consegnare e da concludere.

I più vecchi (quanti ne sono rimasti nella odierna Lavis?), ricordano ancora i vari tessitori (tessadri), i Giovanazzi di piazza Loreto, poi i vari funai (costruttori di funi e corde per i carri e i buoi dei contadini) che erano originari della Val Camonica con il loro laboratorio in piazza Grazioli. C’erano poi i fabbri provetti che erano i de Manincor di piazza Loreto e il Cordin, quest’ultimo era conosciuto in paese anche con il simpatico nome di “ciopeta”!

I fratelli Giuliani, bottai

Artisti dell’artigianato

5.Naturalmente c’era anche il maniscalco del “Travai” all’inizio del 4° Vicolo del Pristol, conosciutissimo e disponibile, che ferrava buoi e cavalli, ma che all’occorrenza si improvvisava anche veterinario e con ottimi risultati, si commentava allora …

Molti in quelli anni erano anche i “paroloti” (ramieri), conosciuti e stimati per la loro esperienza al limite dell’artistico erano i fratelli Giuliani di via Orti i cosiddetti “pinteri” (bottai) e anche gli “slotzeri” i provetti costruttori di ogni tipo di serratura a mano, tutte in ferro e in acciaio.

L’officina meccanica

6.I ricordi più vicini a noi riportano in auge la bottega-officina dei fratelli Pezzi del 1° Vicolo del Pristol, costruttori inimitabili di aratri e attrezzature agricole d’ogni genere, poi l’officina meccanica del Mario Obrelli (papà dell’Aurelio), dove oggi c’è il nuovo bar di via Matteotti al posto dell’orologiaio Carpi.

In questa officina si realizzavano anche serrature particolari, cucine economiche (fogolari) e anche lavori in ferro battuto, ringhiere “ricamate” e tanto altro. Sempre in via Matteotti altri artigiani scomparsi da qualche anno, i famosi “bandari” Carlo, Mario e Riccardo Mattedi, la loro bottega di lattonieri è chiusa ormai da tempo…

Mario Obrelli e le ringhiere ricamate

L’aggiusta-tutto

7.Altra bottega-officina famigliare e simpatica, chiusa ormai da quasi un trentennio, era quella in via Roma di fronte alla Canonica, era occupata dal meccanico-tecnico-attrezzista Edoardo (Edi per gli amici) Scola, che sapeva fare proprio di tutto. Riparava e saldava ogni cosa, costruendosi anche i pezzi originali di qualche macchina o trattore che erano ormai introvabili.

L’Edi, insieme all’amico Ezio Mattedi di San Lazzaro, anch’egli tecnico-meccanico, riuscì più volte a rimettere in marcia e a far funzionare l’antichissimo orologio a pesi (costruito da Pietro Zanon nel 1770) che si trovava sul campanile della chiesa arcipretale di Sant’Udalrico.

Gli ultimi rimasti

8.Artigiani e vecchi mestieri di una volta, oggi sono rimasti solamente un ricordo indimenticabile per tutti. L’ultimo calzolaio è stato ufficialmente il Mario Gadotti, che aveva portato avanti la tradizione di famiglia fino alla sua scomparsa, ora i suoi famigliari gestiscono il negozio di calzature vicino alla piazza Grazioli (dove c’era la Trattoria Vittoria della Serafina).

Ultimo falegname è rimasto Claudio Moscon, che prosegue ancora con il laboratorio del papà Antonio in via Clementi, insieme al fratello Dario suo collaboratore ma ora in pensione… Scomparsi del tutto i sarti, da Pietro Frizzo a Livio Dauritz, l’ultimo che aveva chiuso il suo laboratorio in via Matteotti di fronte al Muncipio. Così pure i mugnai (i molinari) che proprio qui a Lavis erano assai numerosi a partire dal 1800 e fino agli ultimi anni del 1970, l’ultimo a chiudere bottega è stato il Mulino del Paolo Dorigatti in via Damiano Chiesa.

Bottaio-carrettiere in via Filzi

Tempi che cambiano

9.Non vanno nemmeno dimenticate le due tipografie esistenti in borgata, quella del Paolo Dvorack in via 4 Novembre e vicino all’angolo con il 1° Vicolo del Pristol, che rimase in attività per pochi anni e fino al 1960-70. L’altra invece, la tipografia di Marcello Piffer (lui era stato anche maestro di Banda per tanti anni), andò avanti per parecchi decenni dove oggi c’è la farmacia comunale, subentrò poi Ezio Zeni da Pressano e quindi Alfredo Patton, quest’ultimo prosegue tutt’ora la sua attività in zona Industriale.

Artigiani e vecchi mestieri quindi è stato un vero addio, soppiantati dalle tecnologie e dalle modernità dirompenti, restano i ricordi tra i lavisani doc di quando si faceva riparare tutto, proprio tutto, dalle abili mani degli artigiani provetti di quei tempi. Allora non c’era però la plastica, tutto si riutilizzava nel bene e nel male, non c’era nemmeno la moda della “festa del riuso”. Perché allora non serviva proprio a niente e non era stata ancora inventata dal consumismo… di oggi!

Giovanni Rossi

Giornalista, scrive per "Vita Trentina". Per decenni è stato il corrispondente da Lavis per "L'Adige". Memoria storica e appassionato di cinema, ha lavorato come tuttofare per il Comune di Lavis fino alla pensione. Scrive per "Il Mulo" dopo essere stato una delle colonne del giornale digitale "La Rotaliana".

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