Lavis. Non ho mai conosciuto Italo Varner e non ho mai sentito la sua voce (nonostante el nono mi abbia promesso di sistemare il vecchio mangianastri con la registrazione di un’intervista al sindaco Varner che fece mia mamma come giovane giornalista).
Sapete, non so immaginarmela lo so voze; forse un pò nasale e rotta dal fumo delle sigarette oppure semplice e pulita come solo la voze s-cèta de sti ani.
Non saprei. Perchè nel leggere le sue poesie uso i miei pensieri, uso tutto me stesso.E così la voce di Italo è diventata la mia voce.
Sento vibrare nelle sue parole l’anima del mio paese (che ormai vedo e vivo di rado) e, leggere le sue poesie, è come annaffiare di rinnovata passione le radici delle mie origini. Leggendo le sue poesie riconosco le mie strade, riconosco i suoi personaggi e riconosco i valori e le paure a cui spesso non diamo voce. Ma Italo ce la fa! Mi parla in dialetto e facendo così arriva nel mio profondo.
La sua voce diventa simile all’acqua tra i sassi tondi dellAvisio , diventa come l’ombra della Paganella o come le coline de Pressàn calcade de nosiòla. La sua poesia in dialetto mi riporta tra i luoghi e i suoni della mia infanzia e che sono sempre dentro di me e che mi porto dietro ovunque vada.
La poesia dialettale è la voce del nostro paese! E Lavis è uno straordinario esempio di come tanti dialetti possano coesistere in un ponte di frontiera. La poesia dialettale andrebbe valorizzata, trasmessa, raccolta e premiata!
Ed io, che sono sempre stato sensibile al potere delle parole, mi rivedo nello stile di Varner che mi ha introdotto con violenta passione nel suo mondo poetico e crudo, che racconta di un passato tremendamente attuale.
Ho imparato da lui a metter assieme le prime strofe. Ed ogni volta che torno a Lavis mi scrivo alcuni termini dialettali che non sentivo da tempo e provo anch’io a comporre qualche timida poesia, per non dimenticare e per non dimenticarli: granìz, piociòn, mamolàr, schiramèle.
In ultimo, mi ritrovo ancora di più nella voce di Italo Varner perchè aveva a cuore tutti coloro che se ne erano andati dalla loro terra di origine. Aveva a cuore gli emigrati (come in minima parte mi sento anch’io) e gli consigliava di portarsi dietro un pò di quel” saor de tera” del trentino da snasàr tutte le volte che i gaveva destràni.
Ed anch’io, quando il vento della vita mi ha sparpagliato lontano da questo paese, una delle prime cose che ho messo in valigia fu proprio un libro di poesie di Italo Varner. Il mio saor de tera.
Mi portavo dietro la voze del me paes.
Che, a la fin de la fera, l’è sempre la me voze.
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