Il Coronavirus e le mie giornate tutte uguali, vissute in una bolla

Lo sguardo di Margherita, una ragazza di 16 anni, sulla finta normalità che siamo costretti a vivere

LAVIS. Intorno a me si è sviluppato in questi giorni un clima completamente surreale. Mi è sembrato di vivere, queste ultime due settimane, in una specie di bolla, formata dalle mura di casa. Ogni giorno mi sveglio con la stessa strana sensazione, la sensazione che c’è qualcosa di sbagliato, la sensazione che dietro quest’apparente domenica prolungata ci sia una forte tensione. Una paura nascosta dietro parole di consolazione, un freddo terrore che gela i cuori delle persone che mi circondano.
Una sensazione strana.

Arriva la primavera


Fa più caldo fuori. Cominciano le giornate di sole e in giardino ho visto fiorire le prime pratoline. Il grande albero di ciliegio che vedo dal mio balcone ha fatto le prime gemme e comincio a scorgere le prime api che gli ronzano attorno.

La natura continua indisturbata a fare le sue opere mentre noi siamo fermi. Passo le giornate a fare i compiti, leggo, guardo la tv.
A volte mi sembra che tutto intorno a me sia normale. Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Eppure c’è quella sensazione.

La finta normalità


E poi arriva la sera e mia mamma torna a casa dal lavoro. Lei è una dottoressa. L’apparenza di normalità si spezza. Lei torna sempre più tardi, gli occhi cerchiati, la fronte aggrottata. Non ne vuole parlare. Tante chiamate. Hanno quasi finito le mascherine.

Ci sediamo per cena, proviamo a evitare quell’argomento, ma noi siamo stati a casa tutto il giorno, le uniche notizie che ci arrivano sono su quello, non sappiamo cosa dire. Le racconto dei compiti che ho fatto, della serie tv che ho appena finito, ma la tensione rimane.

La giornata ricomincia, un ciclo continuo. Mi sveglio, controllo il computer, faccio i compiti. Pranzo con mio papà, anche lui costretto a casa, mia sorella e la mia bisnonna. Faccio ancora i compiti, cerco di rimanere concentrata, a non preoccuparmi. Non preoccuparmi per mia nonna, che questa mattina ha preso l’autobus per l’ufficio, non preoccuparmi per mia mamma, che cerca di fare di tutto per i suoi pazienti.

A volte ci riesco, metto un po’ di musica, mi siedo sul balcone, e mi rilasso. Ma, come ho detto, è difficile continuare a negare la situazione.

Il bisogno di nuove relazioni umane


Poi l’altro ieri mia nonna mi chiama, mi dice di andare sul balcone, che cantiamo. Sono un po’ spiazzata, ma prendo la giacca esco sul terrazzo più piccolo, quello che confina con la casa dei vicini. Anche loro sono fuori, tutti quanti. Mia nonna è in giardino con mia zia, vedo mio zio sul balcone.

Cominciamo a cantare, conosco poco la canzone, ma al ritornello alziamo tutti la voce. Esce sul balcone la famiglia della casa di fronte. Dal condominio vicino a noi si alzano parecchie voci, ormai siamo un coro. La canzone finisce, ma l’euforia rimane. Saluto e chiacchiero con i vicini, poi ci salutiamo e ci auguriamo buona fortuna.

Ieri alle otto di sera, usciamo di nuovo. Un compaesano è sul balcone e con tastiera, microfono e casse sta cantando in diretta facebook. Ci uniamo al coro, di nuovo sento voci che si uniscono da tutte le parti. Arriva anche la mamma. Anche lei sorride e canta con noi.

Per qualche minuto sento che tutto il paese sta vibrando alle note della canzone. Per qualche secondo tutta la comunità in cui sono cresciuta palpita all’unisono e alla fine della canzone sento applausi e grida provenire da ogni dove. Anche io urlo, mi sento parte di qualcosa di importante. Per un attimo ho la sensazione che centinaia di persone stiano provando esattamente quello che provo io.

Vivo qui da quasi tutta la mia vita, e mai, mai, ho sentito la popolazione così unita, così pronta a superare diversità e dissidi come ora.

Intravedo l’altro lato della medaglia. Anche loro sono preoccupati per i loro cari, anche loro hanno quella strana sensazione quando si svegliano.

Una lezione di vita


Siamo in una brutta situazione ma abbiamo la consapevolezza di esserlo tutti insieme.

Quando questo periodo finirà, quando avremo superato tutto questo, dobbiamo ricordarlo. Dobbiamo ricordare quello che provavamo mentre cantavamo tutti insieme in quei giorni di paura. Ora mi sto costringendo a provare a vedere le cose da un’altra prospettiva.

Domenica ho finito quel libro che avevo in sospeso da un po’ per mancanza di tempo. Sabato mattina ho fatto yoga con la mamma, e abbiamo riso come di solito ci dimentichiamo di fare. Ho ricominciato a scrivere, in generale, un’attività che spesso accantonavo per necessità. Ho ricominciato a disegnare per il solo piacere di farlo, per distrarmi, a ricordarmi di come mi sono innamorata dell’arte. Ho ricominciato a scherzare con mia sorella e la mattina ho preso l’abitudine di andare a bere il caffè con mio papà dalla bisnonna.

Si, questi giorni a casa mi stanno riavvicinando alle persone, forse mi sto riavvicinando persino a me stessa.

Ma il resto rimane


Ma io voglio più di ogni altra cosa che, come noi ora stiamo affrontando questa disgrazia, non ci dimentichiamo di chi ogni giorno si trova costretto ad affrontarne. Ora non si sente più parlare della guerra, della fame, dell’inquinamento. Giustamente come Stato abbiamo altro a cui pensare, e io per prima trovo che sia giusto preoccuparsi per le persone che in questo momento, magari anche nell’ospedale più vicino a me, stanno piangendo dei loro cari.

Anzi, dobbiamo prenderci cura di noi stessi, e in questo momento è sicuramente importante rimanere concentrati sulle nostre necessità. La mancanza di posti in terapia intensiva, le scarse scorte di mascherine, il numero esiguo di dottori e infermieri che abbiamo, costringendo gli altri a fare turni estremi, e scelte difficili.

Ma ci sono ancora migliaia di persone ammassate ai confini della Grecia. Ci sono ancora migliaia di neonati che muoiono per denutrizione in Africa. A volte, presi dal nostro dolore, ci scordiamo quello degli altri. Ci scordiamo di tante morti che ancora avvengono, e spesso indisturbate. Ancora 2 milioni di persone muoiono di AIDS all’anno. Secondo le statistiche una donna muore di femminicidio ogni due giorni, e questo solo in Italia.

Io sono molto contenta di come lo Stato sta gestendo l’emergenza, di come sta aiutando le famiglie in difficoltà, ma forse non staremmo affrontando questo tracollo del sistema sanitario se il governo avesse speso nella sanità pubblica i 25 miliardi di euro che solo l’anno scorso ha investito in spese militari.

Ora i jet militari F35 che con le nostre tasse abbiamo pagato e pagheremo a lungo sono fermi a prendere polvere. Ma se quei soldi fossero stati usati per costruire nuovi ospedali, per creare più posti letto, forse ora non saremmo in questa situazione.
O almeno potremmo provare a gestirla meglio. Ormai è tardi per i se.

La memoria per migliorare


Ma come ho detto prima voglio che ci ricordiamo. Voglio che impariamo dai nostri errori, altrimenti tutto questo sarà stato vano.

Questa sera uscirò di nuovo sul balcone a cantare. Non perché aiuterà o sarà realmente utile a qualcuno, ma perché mi scalda il cuore, e più di ogni altra cosa mi fa sperare.

Il paese si sta riempiendo di cartelli con la scritta ‘andrà tutto bene’, e io sono sicura che sarà così, siamo un popolo forte e sono sicura che ci rialzeremo. Ma quando saremo di nuovo in piedi non voglio che ci dimentichiamo come è stato, cosa abbiamo provato.

Altrimenti non sarà servito a niente.

Margherita ha 16 anni, è di Lavis e frequenta il liceo artistico Vittoria di Trento

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